Il pane caldo
della Daunia
Sole rovente
è un classico di giugno
come lo sono
distese di stoppie
risultati di campi trebbiati.
Sette bocche da sfamare
qui
nulla può contrastare un padre
al crepuscolo svegliare i suoi pulcini
per una raccolta di spighe perdute
nelle stoppie vicine.
Latte appena munto
con il pane sfornato da due settimane
è la colazione di un miracolato
ennesimo mattino e per continuare
a mangiare nel dì e nel domani
nei campi mietuti bisogna cercare.
Tutto è pronto
il sole annuncia l’alba
e bisogna fare in fretta
pulcini alla ricerca di spighe nelle stoppie
scavate più delle volte sotto la paglia
e deposte in sacchi di juta.
Spiga dopo spiga il sacco si riempie
ma per far più velocemente
nelle stoppie bruciate bisogna guardare
lì le spighe risaltano tra la cenere
e se anche la spiga è bruciata
lo stesso il chicco diventerà farina.
Fa caldo
con il sole
là
in alto
il sudore imbrattato di terra,
paglia e cenere ferma lo spigolare.
Pochi lunghi attimi
e quei enormi sacchi
con la magia di un possente padre
si trasformano
in un piccolo sacco di farina non bianca
inquinata dal chicco bruciato.
È sera ed è il turno della chioccia
che fin dal primo pomeriggio
ha amalgamato quella farina grigia
con una manciata d’impasto vecchio
ed è lievitato un preparato
pronto per essere infornato.
Un vecchio forno
brucia una balla di paglia
e poi un’altra fino a quando
il suo grembo si colora di rosa
e lì è pronto ad ospitare il sudore
di una famiglia da sfamare.
Un miracolo
con una croce incisa sopra
è
il risultato dello sfornato.
Il profumo
è ciò che è nato da spighe trovate
nella generosa terra
che per secoli
ha sfamato anime autoctone
di un solo companatico …
il pane caldo
della Daunia.
Roberto Antonio
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